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Manutenzioni ordinarie e reverse charge : un connubio difficile

L’art. 1, co. 629 e 631, della L. 23.12.2014 n. 190 (Finanziaria 2015) ha aggiunto la nuova lettera a-ter), al co. 6, dell’art. 17, del DPR 633/72, estendendo a nuove fattispecie del settore edile il meccanismo del “reverse charge” in virtù del quale – in deroga all’ordinario principio di applicazione dell’IVA – l’imposta viene assolta dal cessionario o committente anziché, come ordinariamente avviene, da chi pone in essere l’operazione, vale a dire il cedente del bene o il prestatore del servizio. Per la corretta individuazione delle prestazioni interessate dalla novellata disciplina del “reverse charge”, occorre fare riferimento unicamente ai codici attività della Tabella ATECO 2007. In buona sostanza, tale criterio – che ha rilevanza esclusivamente oggettiva – deve essere assunto al fine di individuare le suddette prestazioni di pulizia, demolizione, installazione di impianti e completamento relative ad edifici. Il regime previsto dal novellato art. 17, co. 6, lett. a-ter), del DPR 633/72 – che si affianca (e non si sostituisce) al regime del “reverse charge” di cui all’art. 17, co. 6, lett. a), del DPR 633/72 (prestazioni rese dai subappaltatori edili) – è statooggetto nel recente passato di importanti chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate (C.M. 27.3.2015 n. 14). A distanza di alcuni mesi dalla pubblicazione del suddetto documento di prassi, è intervenuta nuovamente l’Agenzia delle Entrate (C.M. 22.12.2015 n. 37/E) fornendo taluni chiarimenti in risposta a specifici quesiti formulati dalle associazioni di categoria; precisazioni quest’ultime che si aggiungono ed in parte integrano i chiarimenti già forniti con la citata C.M. n. 14/E dello scorso 27.03.2015.

Un chiarimento contenuto nel nuovo documento di prassi dell’Agenzia delle Entrate riguarda l’applicazione del “reverse charge” in presenza di servizi che prevedono la fornitura di beni di valore significativo di cui al DM 29 dicembre 1999 (ascensori e montacarichi, infisse esterni ed interni, caldaie, video citofoni, apparecchiature di condizionamento e riciclo dell’aria, sanitari e rubinetterie da bagno ed impianti di sicurezza). Si rammenta che, alla fornitura di beni significativi nell’ambito di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria su immobili a prevalente destinazione abitativa può essere applicata l’aliquota Iva ridotta del 10%. Condizione essenziale affinché si possa usufruire dell’aliquota ridotta è che il soggetto fornitore dei beni sia anche colui che provvede all’esecuzione dell’intervento di manutenzione; l’aliquota del 10%, infatti, può essere applicata soltanto fino a concorrenza del valore della prestazione. In particolare, il limite del valore dei beni significativi cui applicare l’Iva 10% è determinato sottraendo dall’importo complessivo dovuto dal committente il valore dei “beni significativi”. In caso di beni significativi, il cui valore è superiore al 50% del valore complessivo della prestazione, l’aliquota ridotta è applicabile a tali beni fino a concorrenza della differenza tra il valore complessivo dell’intervento di manutenzione e quello dei medesimi beni. Il valore residuo del bene deve essere, invece, assoggettato alla aliquota ordinaria, attualmente prevista nella misura del 22%. Viceversa, se il valore del bene significativo è pari o inferiore al 50%del valore complessivo della prestazione, l’aliquota Iva 10% è applicabile all’intero corrispettivo. Posto che la suddetta disciplina in materia di aliquota IVA agevolata (prevista per i beni significativi) interessa esclusivamente i consumatori finali della prestazione, l’Agenzia delle Entrate precisa che alle cessioni di beni significatici ed alle prestazioni di servizi rese nei confronti dell’appaltatore o del prestatore d’opera, l’IVA resta applicabile con l’aliquota per esse prevista (C.M. 22.12.2015 n. 37/E): sicché, in presenza dei servizi di cui alla lett. a-ter), co. 6, dell’art. 17, del DPR 633/72 (che prevedono altresì la fornitura di beni di valore significativo) sarà applicabile il regime dell’inversione contabile, a meno che l’operazione in parola non rientri nella fornitura di posa in opera finalizzata alla cessione del bene significativo. Resta ovviamente inteso che, per le cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi rese nei confronti dei consumatori finali, è sempre preclusa l’applicazione del meccanismo di inversione contabile poiché il regime IVA del “reverse charge” interessa soltanto i rapporti tra soggetti passivi d’imposta.

IMU non deducibile per gli immobili merce

L’art. 1, co. 715 e 716, dell’articolo unico della legge n. 147/2013 (legge di stabilità 2014) ha introdotto, a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013, la possibilità di dedurre, ai fini della determinazione del reddito d’impresa o di lavoro autonomo, il 20% dell’IMU relativa agli immobili strumentali (in via eccezionale, per il solo periodo d’imposta 2013, la misura della predetta deduzione era elevata al 30%). Premettendo che la deduzione non opera ai fini Irap, e che deve avvenire in base al criterio di cassa (art. 99, co. 1, del Tuir), l’aspetto più critico per l’applicazione delle predette disposizioni risiede nell’individuazione degli immobili interessati dalla deduzione parziale dell’Imu, i quali devono rientrare nella categoria degli immobili strumentali. Trattandosi di una norma che consente la deduzione dal reddito d’impresa, è evidente che deve aversi riguardo alle disposizioni del Tuir, e più precisamente all’art. 43, co. 2, secondo cui gli immobili strumentali si distinguono nelle seguenti due categorie:

  • per “natura”, in quanto non suscettibili di diversa utilizzazione salvo radicali trasformazioni, che mantengono la strumentalità anche se non utilizzati o concessi in locazione o comodato. Rientrano in tale ambito gli immobili classificati in categoria A/10, B, C, D ed E;
  • per “destinazione”, nel qual caso a prescindere dalla classificazione catastale il bene è utilizzato direttamente ed esclusivamente dall’impresa per lo svolgimento dell’attività propria. In tale ambito, ad esempio, possono rientrare anche gli immobili classificati in categoria abitativa (da A/1 ad A/9), destinati a sede legale od operativa dell’impresa.

Restano quindi esclusi dalla deduzione parziale dell’Imu sia gli immobili non strumentali di cui all’art. 90 del Tuir (cd. immobili “patrimonio”), sia quelli oggetto dell’attività propria dell’impresa (immobili merce), la cui valutazione avviene secondo le disposizioni contenute nell’art. 92 del Tuir, a prescindere dalla natura degli stessi. In altre parole, nell’ambito degli immobili merce, non rileva la categoria catastale degli stessi, poiché a prescindere dalla classificazione gli stessi mantengono la medesima natura di beni destinati alla vendita, in quanto oggetto dell’attività propria dell’impresa. Ed a tal fine non sono nemmeno invocabili le disposizioni in ambito Iva, che distinguono la categoria dei fabbricati strumentali in funzione in relazione alla categoria catastale, e non in base alla classificazione contabile degli stessi. Secondo l’art. 10, n. 8, 8-bis e 8-ter, del dpr 633/72, infatti, le regole di applicazione dell’Iva (imponibilità od esenzione) delle relative cessioni o locazioni di immobili prescindono dall’allocazione contabile dei beni, e quindi dal trattamento nell’ambito del reddito d’impresa, avendo riguardo alla sola classificazione catastale del bene. Tuttavia, come detto, poiché la disposizione della legge di stabilità che consente la deduzione parziale dell’Imu opera in ambito di imposte sui redditi, e più precisamente nella determinazione del reddito d’impresa, l’individuazione della strumentalità dell’immobile non può che avvenire secondo le regole previste dal Tuir. Per completezza, è appena il caso di ricordare che per gli immobili costruiti per la successiva rivendita (e quindi rientranti nella nozione di beni merce), purchè non locati, sono stati esclusi dal pagamento dell’Imu a condizione che permanga la loro destinazione per la rivendita, così come dal 2016 (legge di stabilità 2016) è prevista una riduzione dell’aliquota Tasi allo 0,1% (elevabile allo 0,25% o addirittura azzerabile a discrezione del singolo Comune).